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In occasione di un controllo, sei stato sottoposto ad accertamenti da parte delle forze dell’ordine e, tuo malgrado, sei stato informato che sono state rinvenute tracce di sostanze stupefacenti nel tuo organismo?

E’ molto importante che tu conosca i tuoi diritti, e la normativa che disciplina queste fattispecie.

“Chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope è punito con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno. All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni.

Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente è raddoppiata.

Il presupposto del reato

Il dispositivo dell’art. 187 comma 1 del Codice della Strada, spesso mistificato e/o oggetto di fraintendimenti, è piuttosto chiaro nella definizione della fattispecie di reato.

Il nostro Ordinamento, infatti, intende punire chi si pone alla guida di un veicolo in stato di alterazione psico-fisica, causata dall’assunzione di sostanze stupefacenti.

Ciò che può dar luogo alle predette sanzioni, dunque, non è l’assunzione in sé di sostanze stupefacenti, ma l’inequivocabile e accertata sussistenza, a prescindere dalla commissione di un sinistro stradale, dello stato di alterazione nel momento in cui si viene sottoposti a controllo da parte della pubblica autorità.

In ogni caso, affinché possa dirsi sussistente il presupposto di tale reato, le sostanze assunte, causa dello stato di alterazione, devono essere tra quelle tassativamente qualificate come tali nella tabella allegata al Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (D.P.R. n. 309/1990).

Lo stato di alterazione

Ai fini della sussistenza del reato, come detto, è necessario che sia stata accertata e documentata la contestuale presenza di tre elementi che ne costituiscono il presupposto:

  1. stato di alterazione;
  2. guida di un veicolo nelle more dello stato di alterazione;
  3. assunzione di sostanze stupefacenti/psicotrope che siano causa di detto stato di alterazione.

Ciò, è quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, sia di merito, sia di legittimità, secondo la quale ai fini della configurazione del reato è necessario che venga dimostrata non solo la concreta assunzione delle sostanze stupefacenti, in un momento immediatamente anteriore alla conduzione del veicolo ovvero in occasione della guida del veicolo, ma anche che da questa sia dipesa effettivamente l’alterazione prisco-fisica al momento della conduzione del veicolo (cfr. Cass. Pen. n. 43180/2013; Cass. Pen. Sez. IV, n. 16059/2014).

Inoltre, affinché possa configurarsi il reato, non è sufficiente il positivo riscontro delle analisi del sangue o delle urine, ma è di fondamentale importanza la sussistenza dei c.d. “indici sintomatici”, tra i quali possono annoverarsi una anomala dilatazione delle pupille, scarsa reattività, difficoltà nell’orientarsi nel tempo e nello spazio, mancanza di collaborazione, difficoltà a parlare e/o a deambulare.

Tali indici, secondo la Corte di Cassazione, devono essere accertati non solo mediante le analisi ematiche e/o delle urine, ma anche attraverso una visita medica specialistica e/o psicologica, atta ad accertare l’effettività dello stato di alterazione e che gli indici sintomatici possano inequivocabilmente ricondursi all’assunzione di sostanze stupefacenti/psicotrope.

La tutela del diritto di difesa

E’ bene ricordare che i prelievi ematici e delle urine disposti in ospedale, mediante i quali vengono espletate le analisi specialistiche volte ad accertare l’avvenuta assunzione di sostanze stupefacenti, costituiscono veri e propri atti di polizia giudiziaria, e in quanto tali implicano il diritto dell’esaminato a farsi assistere da un suo difensore di fiducia.

A tal fine, il personale medico-sanitario incaricato ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 114 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale, prima di procedere ad alcun accertamento, di avvisare l’interessato della predetta facoltà di quest’ultimo di farsi assistere da un difensore.

Tale obbligo di informazione della P.G. è l’esternazione del più ampio diritto di difesa, costituzionalmente tutelato quale bene della vita di ciascun cittadino, all’art. 24 della Costituzione.

 “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”

Quanto detto è ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il diritto di difesa è proprio la ragione per cui è stato introdotto, nelle disposizioni attuative del codice, l’obbligo di avvertire l’imputato, la cui violazione, peraltro, determina una nullità del provvedimento sanzionatorio così adottato (cfr. Cass. n. 24096/2018; Cass. Sez. Un., 5396/2015).

 

 

Avv. Patrizio Ceci

Dott.ssa Francesca Cozzi