La sentenza n. 4354 dell’8 maggio 2019 del Tribunale di Roma suscita grande interesse in quanto affronta il tema della validità della conciliazione sottoscritta dal lavoratore in sede sindacale, non soltanto dal punto di vista formale ma anche da quello sostanziale.
Come noto, la conciliazione stragiudiziale può svolgersi facoltativamente in sede amministrativa dinanzi alla commissione di conciliazione o in sede sindacale, ai sensi dell’art. 412 ter c.p.c., nonché dinanzi alle commissioni di certificazione. In particolare, l’art. 412 ter, stabilisce che “la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative”.
Il nostro ordinamento, dunque, attribuisce valenza alle conciliazioni in sede sindacale che avvengano nel rispetto delle modalità procedurali previste dai contratti collettivi e, in particolare, da quelli sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Quanto sopra determina ripercussioni anche sul regime di impugnabilità degli accordi sindacali in quanto l’art. 2113 c.c. prevede espressamente che gli stessi siano impugnabili nel termine di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione. Tuttavia, l’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. esclude espressamente l’impugnabilità della conciliazione avvenuta ai sensi dell’art. 412 ter c.p.c., ovvero in sede sindacale.
Con la sentenza in commento il Giudice romano si è pronunciato proprio sull’impugnabilità del verbale di conciliazione sottoscritto da un lavoratore in sede sindacale ai sensi dell’art. 411 c.p.c. In particolare, nel caso di specie il dipendente aveva chiesto l’annullamento del verbale di conciliazione dallo stesso sottoscritto, ritenendo che lo stesso fosse viziato da violenza morale.
Il Tribunale di Roma, nel decidere la controversia, ha analizzato l’accordo sindacale sottoscritto tra le parti sia da un punto di vista formale che sostanziale.
Sotto il primo profilo, il Giudice ha accertato che il Ccnl di categoria applicabile al rapporto di lavoro del dipendente non conteneva alcuna disposizione che regolamentasse la procedura di conciliazione sindacale, di talché ha escluso che lo stesso potesse ritenersi inoppugnabile ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2113 c.c..
Il Tribunale, infatti, ha affermato che le rinunce e transazioni contenute in un verbale di conciliazione, sottoscritto in sede sindacale ex art. 411 c.p.c., sono impugnabili se il CCNL non disciplina l’istituto della conciliazione e la sua procedura.
Pertanto le conciliazioni sindacali godono della garanzia di inoppugnabilità soltanto se le stesse avvengono presso le sedi e con le modalità previste nei contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Sotto il profilo sostanziale, il Tribunale di Roma, richiamando l’orientamento della giurisprudenza consolidata, ha altresì affermato che requisito essenziale della conciliazione in sede sindacale è l’effettiva assistenza da parte dell’associazione sindacale del lavoratore; ciò al fine di fornire al dipendente, parte debole della transazione, un quadro chiaro ed esaustivo del contenuto e delle conseguenze delle rinunce formalizzate attraverso l’accordo conciliativo.
Tuttavia, nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Roma, dalle deposizioni dei testimoni era emerso che il rappresentante sindacale non aveva fornito effettiva assistenza al lavoratore, avendo soltanto presenziato all’accordo e letto il relativo verbale.
Alla luce di tali elementi, dunque, il Giudice ha ritenuto che la conciliazione sottoscritta, tenuto conto delle modalità con le quali si è svolta – e, dunque, in assenza del requisito formale e sostanziale – fosse impugnabile entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, non potendosi applicare la deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c.
La pronuncia in commento induce, pertanto, a porre grande attenzione ai requisiti formali e sostanziali dell’accordo conciliativo sottoscritto in sede sindacale, al fine di evitare che lo stesso, avente molto spesso valenza c.d. “tombale”, sia posto nel nulla a seguito dell’impugnazione giudiziale.
Avv. Sergio Patrone
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