Con l’ordinanza n. 29367 del 14 novembre 2018 la Suprema Corte torna, ancora una volta, a pronunciarsi sul valore probatorio delle buste paga consegnate dal datore di lavoro al dipendente.
In particolare, il caso sottoposto all’attenzione del giudice di legittimità riguardava un lavoratore che aveva avanzato, tra l’altro, nei confronti del datore di lavoro, una richiesta di pagamento del TFR a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
Detta richiesta era stata, tuttavia, respinta dalla Corte di appello sull’assunto – poi rivelatosi errato – che il lavoratore non avesse fornito la prova della mancata corresponsione del TFR.
Il lavoratore, dunque, ricorre in Cassazione denunciando la violazione di norme di diritto, avendo la Corte territoriale violato il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., laddove aveva posto a carico del lavoratore l’onere di provare il mancato pagamento del TFR al medesimo spettante.
Orbene, i giudici di legittimità, nel ribadire il principio secondo cui spetta al datore di lavoro fornire la prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione e, dunque, anche della corresponsione del TFR– prova che, nel caso di specie, non era stata fornita dal datore di lavoro -, sottolineano ancora una volta che le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta”, costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore.
Pertanto, la consegna al lavoratore della busta paga, ossia del prospetto contenente l’indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione, ai sensi dell’art. 1 della legge 5 gennaio 1953 n. 4, non prova l’avvenuto pagamento, ove il lavoratore ne contesti la corrispondenza alla retribuzione effettivamente erogata e l’onere dimostrativo di tale non corrispondenza può incombere sul lavoratore soltanto in caso di provata regolarità della documentazione liberatoria e del rilascio di quietanze da parte del dipendente, spettando in caso diverso al datore di lavoro la prova rigorosa dei pagamenti in effetti eseguiti.