Il licenziamento collettivo per riduzione del personale può interessare i dipendenti addetti a un reparto o settore specifico aziendale ove ricorrano effettive esigenze organizzative e tecnico-produttive, purché indicate nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3.
È questo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21306 del 5.10.2020, con la quale è stato ribadito che qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad un settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, può essere limitata agli addetti all’unità o al settore da ristrutturare, in quanto ciò non sia l’effetto dell’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale.
Tuttavia, ai fini della validità della procedura è necessario che i motivi che giustificano la restrizione della platea dei lavoratori da comparare siano adeguatamente esposti dall’azienda nella comunicazione di cui alla Legge n. 223 del 1991, art. 4, comma 3. Ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere.
Il principio enunciato dalla Suprema Corte riprende l’orientamento ormai consolidato secondo cui la comparazione dei lavoratori non deve necessariamente interessare l’intero complesso aziendale, ma può avvenire (secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive) nell’ambito della singola unità produttiva, purché, peraltro, la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificata dalle suddette esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale.
Deve, pertanto, escludersi la sussistenza di dette esigenze ove i lavoratori da licenziare siano idonei – per acquisite esperienze e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda con positivi risultati – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti o sedi (cfr. Cass. n. 13783 del 2006).
Nel caso specifico, la Corte d’appello aveva rilevato che la infungibilità del personale operante presso una sede aziendale e in particolare l’obsolescenza del bagaglio professionale vantato dai dipendenti addetti a tale sede non aveva costituito oggetto della comunicazione di apertura della procedura ex L. n. 223 del 1991, elemento ritenuto indispensabile per un effettivo controllo sindacale della decisione di mobilità e della sua limitazione ad una specifica sede aziendale.
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