Ai fini della valutazione della gravità delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità del provvedimento disciplinare adottato, il datore può valutare come significative anche le condotte del lavoratore che non siano poste alla base del recesso, poste in essere a distanza superiore ai due anni dal provvedimento espulsivo.
Così ha stabilitola Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 32043/18, depositata l’11 dicembre.
Secondo gli Ermellini, per giustificare il licenziamento disciplinare, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario.
La valutazione dei fatti addebitati, inoltre, deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo.
Tuttavia, l’aspetto più significativo che emerge dalla pronuncia in commento si rinviene con riferimento al principio di immutabilità della contestazione disciplinare.
In particolare, i giudici di legittimità chiariscono che, se da un lato detto principio preclude al datore di lavoro di licenziare il lavoratore per motivi diversi da quelli contestati, dall’altro lato non impedisce al datore di lavoro di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività degli addebiti posti a base del licenziamento.
Da ciò discende che, ai fini della valutazione della complessiva gravità delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del relativo provvedimento sanzionatorio, si possa tenere conto anche di precedenti addebiti mossi al lavoratore in un arco temporale superiore a due anni dal provvedimento espulsivo.