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Il ricalcolo delle pensioni dei militari rappresenta sicuramente uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni. Molti appartenenti alle Forze Armate, infatti, hanno adito le varie Corti dei Conti dislocate su tutto il territorio nazionale al fine di chiedere una riliquidazione delle loro pensioni ai sensi dell’art.54 del D.P.R. n.1092 del 29 Dicembre 1973. Per capire meglio la questione, abbiamo chiesto dei chiarimenti all’Avv. Matteo Sances e all’Avv. Hiroshi Pisanello, esperti di diritto tributario e di diritto militare.

Avv. Sances, perché ritiene la questione particolarmente meritevole di attenzione?

Da anni è nostra premura tutelare i diritti dei contribuenti ed informarli delle principali novità fiscali. Tuttavia, accanto ai contribuenti e ai consumatori, credo che vi sia un’altra categoria che spesso passa in secondo piano ma che, in realtà, necessità di maggiore tutela. Mi riferisco alla categoria dei Militari, i cui diritti, spesso e volentieri, vengono sacrificati per soddisfare esigenze collettive. Per questo motivo, anche alla luce delle numerose richieste di tutela ricevute, abbiamo deciso, insieme al collega Pisanello, di focalizzare l’attenzione sui diritti degli appartenenti alle Forze Armate, fornendo agli stessi un supporto legale in tutta Italia e, soprattutto, su Roma attraverso il Network Iuris Hub (www.iurishub.it).

Proprio in tale ottica, credo che l’argomento in questione rivesta una particolare importanza in quanto, a nostro avviso, siamo di fronte ad una palese violazione dei diritti dei militari, nei confronti dei quali l’I.N.P.S. sta adottando un ingiusto taglio sulle pensioni attraverso l’applicazione di un’aliquota inferiore rispetto a quella prevista dalla legge. Ovviamente, se l’Istituto applicasse l’aliquota corretta, permetterebbe agli appartenenti delle Forze Armate di poter ottenere un aumento significativo e legittimo delle proprie pensioni, il quale, tenuto conto anche del momento storico ed economico in cui ci troviamo, sarebbe d’aiuto per tantissime famiglie.

Avv. Pisanello, ci può spiegare meglio la problematica?

Certamente.

La problematica ruota intorno all’ambito di applicazione dell’art.54 del D.P.R. n.1092 del 29 Dicembre 1973 e, dunque, al trattamento pensionistico che l’I.N.P.S. dovrebbe applicare nei confronti dei militari arruolati negli anni ’80 e soggetti al regime pensionistico misto (retributivo e contributivo).

Tuttavia, prima di entrare nel merito della questione, è necessaria una premessa.

Con l’entrata in vigore della Legge n.335 del 1995 è stata, sostanzialmente, attuata una riforma del sistema pensionistico italiano.

L’art.13 della predetta legge ha previsto un regime transitorio in favore dei dipendenti che, alla data del 31.12.1995, avevano maturato un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, stabilendo che agli stessi doveva essere applicato un trattamento pensionistico basato sul c.d. “sistema misto” (retributivo e contributivo), secondo il quale la quota di pensione relativa agli anni di anzianità maturati prima del 31 Dicembre 1995 sarebbe stata calcolata sulla base del sistema retributivo previgente, mentre la quota di pensione inerente agli anni di anzianità maturati dopo la predetta data, sarebbe stata determinata secondo il sistema contributivo.

Ebbene, la problematica riguarda proprio l’individuazione dell’aliquota che l’I.N.P.S. è tenuta ad applicare per determinare la quota di pensione regolata dal sistema RETRIBUTIVO.

Secondo l’I.N.P.S., infatti, ai militari che, alla data del 31.12.1995, abbiano maturato almeno 15 e non più di 20 anni utili ai fini pensionistici, la quota di pensione regolata dal sistema retributivo deve essere calcolata applicando l’aliquota prevista dall’art.44 del D.P.R. n.1092/1973, ammontante al 35,9%, in luogo di quella prevista dal successivo art.54 dello stesso decreto, pari, invece, al 44%.

Ovviamente, ciò si traduce in un vantaggio per l’Istituto (il quale, in questo modo, riesce a contenere la spesa per le pensioni) ma, contemporaneamente, penalizza fortemente i militari, in quanto gli stessi subiscono un taglio della pensione che varia dai 150 ai 300 euro mensili. 

Avvocato Pisanello, sulla base di quali argomentazioni l’I.NP.S. ritiene di dover applicare un’aliquota inferiore? 

L’Istituto fornisce un’interpretazione restrittiva dell’art.54 del D.P.R. n.1092, il quale stabilisce che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo”.

Ebbene, secondo l’I.N.P.S. l’aliquota del 44% troverebbe applicazione solo nei confronti di quei militari che, al 31 Dicembre 1995, abbiano maturato un’anzianità contributiva compresa tra i 15 ed i 20 anni e che subito dopo abbiano cessato il servizio, senza maturare ulteriori anni di anzianità.

Viceversa, secondo l’Istituto, nel caso in cui il militare abbia maturato, alla data del 31 Dicembre 1995, un’anzianità contributiva di 20 anni ed abbia poi continuato a prestare servizio, la quota di pensione regolata dal sistema retributivo dovrà essere calcolata applicando l’aliquota inferiore (pari al 35,9%), prevista dall’art.44 del D.P.R. n.1092/1973.

Secondo Voi questa interpretazione è corretta?

A nostro parere, l’interpretazione fornita dall’I.N.P.S. è assolutamente errata in quanto contrasta con la realtà del dato normativo.

Spieghiamo meglio.

Come già detto in precedenza, l’I.N.P.S. sostiene che l’aliquota del 44% si applichi esclusivamente nel caso in cui il militare, alla data del 31 Dicembre 1995, abbia maturato un’anzianità contributiva di massimo 20 anni e che lo stesso abbia poi cessato immediatamente il servizio, senza maturare ulteriori anni di anzianità.

Tale interpretazione, risulta incompatibile con quanto previsto dall’art.54 del D.P.R. n.1092/1973 ed, in particolare, dalla disposizione contenuta nel comma 2 del predetto articolo.

Di fatti, il comma 1 dell’art.54 stabilisce che “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo”, mentre il successivo comma 2 prevede espressamente che “la percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Appare evidente, quindi, come la tesi sostenuta dall’I.N.P.S. venga sconfessata dal comma 2 dell’art.54 del D.P.R. n.1092/1973, il quale addirittura prevede, nel caso in cui il militare maturi più di 20 anni di servizio, un aumento dell’aliquota in questione.

Tra l’altro, è doveroso sottolineare non solo come l’interpretazione fornita dall’I.N.P.S. sia contraria al dato normativo ma, soprattutto, come l’Istituto finisca per applicare, nei confronti del personale appartenente alle forze armate, l’aliquota del 35,9% prevista dall’art.44 del D.P.R. n.1092/1973 per i dipendenti civili dello Stato.

Ciò ha spinto molti militari ad adire la Corte dei Conti al fine di ottenere giustamente una rideterminazione della pensione ai sensi dell’art.54 del D.P.R. n.1092 del 29 Dicembre 1973.

Ad oggi la giurisprudenza a chi ha dato ragione? All’I.N.P.S. o ai militari?

Come già accennato, a partire dal 2016, molti appartenenti alle forze armate hanno deciso di far valere le loro ragioni dinanzi alla Corte dei Conti.

Nelle prime pronunce del 2016 e del 2017, i Giudici avevano avallato la tesi sostenuta dall’I.N.P.S..

Tuttavia, già verso la fine del 2017, l’orientamento della Corte dei Conti ha iniziato a mutare in senso favorevole ai militari.

Con diverse sentenze, infatti, i Giudici hanno rilevato come l’interpretazione fornita dall’I.N.P.S. (secondo la quale l’aliquota del 44% si applica esclusivamente nel caso in cui il militare, alla data del 31 Dicembre 1995, abbia maturato un’anzianità contributiva di massimo 20 anni e che lo stesso abbia poi cessato immediatamente il servizio, senza maturare ulteriori anni di anzianità) si ponga in palese contrasto con il dato normativo e, in particolare, con la disposizione contenuta nell’art.54, comma 2, del D.P.R. n.1092/1973. Tale orientamento, è stato ribadito da molte altre Corti dei Conti, le quali hanno, altresì, evidenziato come la minore percentuale applicata dall’I.N.P.S. ai sensi dell’art.44 del D.P.R. n.1092/1973 (pari al 35,9%) riguardi esclusivamente il personale civile.

Ad oggi, possiamo dire che si sono espresse in modo favorevole ai militari le Corti dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Puglia (sentenza n.446 e n.468 del 2018), per la Regione Umbria (sentenza n.95 del 2018), per la Regione Liguria (sentenza n.9/2019), per la Regione Calabria (sentenza n.12, 13, 44 e 46 del 2018), per la Regione Friuli Venezia Giulia (sentenza n.67/2018 e n.109/2018) per la Regione Sardegna (sentenza n.2, n.42, n.43 e n.68 del 2018), per la Regione Toscana (sentenza n.228 del 25 Settembre 2018).

Tale orientamento, inoltre, è stato di recente confermato anche dalla Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti con la sentenza n.422 dell’8 Novembre 2018.

La questione riguarda tutti gli appartenenti alle Forze Armate?

La questione riguarda tutti i militari e gli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento militare (Esercito, Aeronautica, Marina, Guardia di Finanza, Carabinieri…). Un discorso a parte va fatto, invece, per gli appartenenti alla Polizia di Stato, i quali potrebbero agire in giudizio solo se arruolati prima del 25.06.1982. Ciò in quanto, a partire da tale data, la Polizia di Stato è divenuta un corpo di polizia ad ordinamento civile.

Stesso discorso deve essere fatto per gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, i quali potrebbero richiedere la rideterminazione della pensione solo se arruolati prima del 15.12.1990, data in cui anche la Polizia Penitenziaria è diventata un corpo di polizia ad ordinamento civile.  

Ovviamente, è sempre necessario che tali soggetti, alla data del 31.12.1995, abbiano maturato un’anzianità di servizio compresa tra i 15 e i 20 anni e che nei confronti degli stessi venga applicato, inoltre, un trattamento pensionistico basato sul c.d. sistema misto (retributivo e contributivo).

Nel caso in cui un militare si dovesse trovare nella situazione sopra descritta, come dovrebbe agire per ottenere la rideterminazione della pensione?

Innanzitutto, gli interessati dovrebbero procurarsi tutta la documentazione necessaria per valutare se vi siano o meno i presupposti per la presentazione di una richiesta di rideterminazione della pensione.

Ci riferiamo, in particolare, al modello 5007 (ossia il provvedimento con il quale viene disposta la liquidazione della pensione) e al modello Obis/M (ossia il documento che viene rilasciato annualmente dall’I.N.P.S. a tutti i pensionati, all’interno del quale vengono riepilogate tutte le informazioni relative alla pensione percepita).

Dopodiché, nel caso in cui vi dovessero essere tutti i presupposti per la richiesta di rideterminazione della pensione, l’interessato dovrà inoltrare all’I.N.S.P. un’istanza di riliquidazione.

L’istanza in questione dovrà essere trasmessa all’Ufficio I.N.P.S. del luogo di residenza del militare interessato.

Nel caso in cui l’I.N.P.S. rigetti l’istanza oppure non risponda nei successivi 120 giorni, il militare potrà proporre ricorso dinanzi alla Corte dei Conti.

Il ricorso dovrà essere proposto a pena di decadenza entro i successivi 3 anni.

Ringraziamo l’Avv. Sances e l’Avv. Pisanello per i preziosi chiarimenti forniti.

Pubblicato su Affaritaliani.it il 12 marzo 2019

Per ulteriori informazioni a riguardo https://www.iurishub.it