Nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, il dipendente che subisce un’abusiva reiterazione di contratti a termine ha diritto al risarcimento del danno corrispondente ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Tale principio è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 3478/19) che, richiamando numerose altre sentenze in materia, ha chiarito che la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, co. 5, del D.Lgs. n. 165/2001, debba essere interpretata in conformità a quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE con ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13.
Ne consegue che, se da un lato va esclusa la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, dall’altro, per la quantificazione del danno subito dal pubblico dipendente deve farsi ricorso ai criteri di cui alla Legge n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, inteso quale “danno comunitario”, che va determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto.
Tale principio trova applicazione nell’ipotesi di reiterazione, mediante proroga o rinnovo, di rapporti che si siano svolti nelle forme tipiche del lavoro subordinato, a condizione che degli stessi il lavoratore abbia allegato l’illegittimità, anche in ragione del carattere abusivo della reiterazione del termine.
In tal caso, dunque, il danno va determinato in un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione è conforme a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia con la sentenza 7 marzo 2018 (C-494/16), secondo cui, in tema di contratti conclusi con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico e di misure dirette a sanzionare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato, la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purché una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo.
Pertanto, i pubblici dipendenti contrattualizzati dalla P.A. con contratti a termine, che si siano rinnovati o che siano stati illegittimamente prorogati dall’Ente di appartenenza, potranno rivolgersi al giudice per ottenere un congruo risarcimento, compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Avv. Sergio Patrone