Con la sentenza n. 232/18, depositata il 7 dicembre 2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non include tra i soggetti legittimati a godere del congedo straordinario retribuito il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore gravemente disabile ma instauri tale convivenza soltanto successivamente, in assenza di altri congiunti conviventi.
Il caso trae origine da un ricorso di un agente penitenziario che aveva chiesto di beneficiare del congedo straordinario retribuito per assistere il padre malato, richiesta rigettata dal Ministero della giustizia per assenza di convivenza tra il figlio e il genitore.
Il lavoratore ha,quindi, impugnato il diniego con ricorso cautelare, che è stato accolto dal TAR Lombardia. Tuttavia, la pronuncia del TAR è stata successivamente riformata dal Consiglio di Stato che ha negato il diritto al congedo straordinario al lavoratore per assenza del requisito della convivenza tra quest’ultimo e la persona disabile da assistere.
Nel corso del successivo giudizio di merito, il TAR ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ritenendo che l’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo ivi previsto, la preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere, e non consente invece che la convivenza costituisca una condizione richiesta durante la fruizione del congedo, contrasterebbe con molteplici parametri della Costituzione, in particolare con gli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 Cost.
Come noto, il nostro ordinamento, al fine di consentire l’assistenza alle persone disabili, riconosce al lavoratore, oltre ai permessi e al trasferimento (disciplinati dall’art. 33della legge n. 104 del 1992) anche il diritto al congedo straordinario.
In particolare, il congedo spetta solo per l’assistenza a persona in condizioni di disabilità grave, debitamente accertata, che si ravvisa esclusivamente in presenza di una minorazione, singola o plurima, che abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente,continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione (art.3, comma 3, della legge n. 104 del 1992).
Sotto il profilo soggettivo, invece, il congedo straordinario, così come i permessi ex art. 33, comma 3,della legge n. 104 del 1992, non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona e delinea una precisa gerarchia dei beneficiari.
Definiti, dunque,i tratti essenziali dell’istituto in commento, i giudici della Consulta, nel valutare i rilievi formulati dal giudice rimettente, pongono l’accento sulle finalità del congedo straordinario, affermando che lo stesso è riconducibile agli interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie e valorizza quelle espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2 e118, quarto comma, Cost..
Il diritto del disabile di ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita – inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e a una integrazione effettiva – rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana.
Nell’estendere il congedo straordinario oltre l’originaria cerchia dei genitori, il legislatore ha attribuito rilievo esclusivo alla preesistente convivenza con il disabile, al fine di salvaguardare quella continuità di relazioni affettive e di assistenza che trae origine da una convivenza già in atto.
Tuttavia, la convivenza non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura.
In quest’ottica, ad avviso dei giudici costituzionali, l’ancoraggio esclusivo del congedo straordinario al criterio della convivenza finisce con il vanificare la finalità dell’istituto in parola, che evidentemente mira a colmare le lacune di tutela e a far fronte alle “emergenti situazioni di bisogno e alla crescente richiesta di cura che origina, tra l’altro, dai cambiamenti demografici in atto.Pertanto, prosegue la Corte, “un criterio selettivo così congegnato compromette il diritto del disabile di ricevere la cura necessaria dentro la famiglia, proprio quando si venga a creare una tale lacuna di tutela e il disabile possa confidare – come extrema ratio – soltanto sull’assistenza assicurata da un figlio ancora non convivente al momento della richiesta di congedo”.
Il requisito della convivenza ex ante,inteso come criterio prioritario per l’identificazione dei beneficiari del congedo, si rivela dunque idoneo a garantire il miglior interesse del disabile e non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico.
Tale preclusione, infatti, si pone in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost., in quanto sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l’effettività dell’assistenza e dell’integrazione del disabile nell’ambito della famiglia, tutelata dal legislatore mediante una disciplina ispirata a presupposti rigorosi e contraddistinta da obblighi stringenti.
La Corte Costituzionale, dunque, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.